venerdì 12 dicembre 2008




Gatto si nasce


- “ Ho sempre pensato che tu avessi avuto un trauma infantile,ma devo ricredermi. Ne hai avuto sicuramente più d’uno. “
- “ Perché Henry? “
- “ Ma ti sembra normale parlare con un gatto come se fosse un essere umano? “
- “ Non capisco perché tu non abbia la stessa reazione meravigliata quando faccio lo stesso con te. “
- “ ……beh, almeno io ti rispondo. “
- “ Non mi sembra una buona motivazione, anche perché considerato il tenore delle tue risposte la cosa va a tutto vantaggio del gatto. ”
- “ Quando però penzolavi da una corda e c’era da salvarti la pellaccia è stato il vecchio Henry a farlo. Se aspettavi il batuffolo peloso stavi fresco. “
- “ E’ vero, ma di certo il batuffolo peloso, come lo chiami tu, non me lo avrebbe rinfacciato per il resto dei suoi giorni. “
Quella mattina neanche se fosse sceso Gesù Cristo dalla croce sarebbe riuscito a cambiare il mio umore. Non sopportavo niente e nessuno. Tantomeno Henry. Cercavo in tutti i modi di fargli capire che non era aria, che volevo starmene da solo. Ma lui era fatto così, più capiva che le nostre discussioni non avrebbero portato a nulla, più intuiva che avrebbe potuto anche servirmi su un vassoio d’argento la verità rivelata e far discendere dalle tenebre discinte fanciulle lussuriose che nulla avrebbe cambiato il mio stato d’animo e più insisteva a provocarmi.
- “ Certo che sei un bel tipo,Frank. Dopo tutto quello che ho fatto per te. “
- “ Non fare la vittima, lo sai che non lo sopporto. “
- “ La vittima? Cerco solo di starti vicino. “
- “ Ne ho udito molto spesso di simili cose:
consolatori molesti siete voi tutti.
Avranno fine queste parole di vento? “

- “ Chi ha detto queste cose non doveva conoscere l’affetto fraterno e la carità cristiana. “
- “ Infatti sta scritto nella Bibbia. “
Henry si zittì per qualche secondo. Aveva capito che la parte della vittima sensibile e incompresa poco gli si addiceva e stava certamente rimurginando su quale altra strada percorrere per scassarmi la minchia in modo più credibile ed incisivo.
- “ Senti Frank, ma quanti anni ha questo ricovero di pulci? “
- “ Diciotto “
- “ Diciotto? E ancora campa? “
Fu l’ultima cosa che riuscì a dire in casa mia. Alzarmi dal divano, prenderlo per il bavero, aprire la porta e spingerlo fuori fu un tutt’uno. Mentre richiudevo l’uscio vidi la sua espressione stupefatta e mortificata. Ma quella era solo una maschera. Sono certo che in realtà dentro di se sprizzasse gioia e soddisfazione. Era riuscito finalmente a farmi perdere il controllo e in più aveva guadagnato un'altra medaglia al valore da esibirmi quando l’occasione l’avesse richiesto. In fondo lui continuava a pensare che il senso di colpa fosse un collante formidabile per trattenere a se le persone a cui teneva. Non capiva che il senso di colpa, quando determina i comportamenti, agisce su qualcosa che già esiste a prescindere.
Mi riaccomodai sul divano, sistemai il gatto sulle ginocchia e presi ad accarezzarlo. Lui, guardandomi negli occhi rapito, rispose con sonore fusa.
- “ Speriamo che Henry non se la sia presa troppo” , gli dissi.

(Jaenada)

domenica 16 novembre 2008



A Los Angeles.....

“Non sarà troppo cominciare con la tequila alle 10 del mattino?”.
“Non quando si è smesso alle 8”, mi rispose Tony.
“Voi a cinquant’anni non ci arriverete”, replicai.
“Considerato quanto abbiamo dormito sarebbe come se tu ne vivessi cento”, concluse caustica Donna.
In effetti a me piaceva dormire, a loro molto meno. Dormire è sempre stato uno dei miei passatempi preferiti. Ogni volta che c’era qualcosa da fare, un posto dove andare, dovevo scontrarmi con la mia irrefrenabile voglia di appisolarmi, con la mia angoscia del sonno perduto. Non so come, quella mattina mi ero lasciato convincere da quei due pazzi scatenati ad alzarmi all’alba per “fare colazione” insieme. Perchè loro bere tequila e mangiucchiare arachidi alle 10 del mattino, dopo una notte insonne trascorsa a bivaccare e a sbevazzare da un locale all’altro, la chiamavano colazione.
Alla quinta tequila Donna e Tony cominciarono a sghignazzare, darsi di gomito e a ruttare bellamente. Che ruttasse Tony diciamo che me lo sarei aspettato, ma sentirlo fare a Donna mi creava non pochi imbarazzi.
“Capisco i tuoi modi informali e la consapevole rinuncia a vetuste sovrastrutture culturali, ma non pensi che sia poco elegante per una donna bella e sexy come te mettersi a ruttare urbi et orbi?”
“Vai a farti fottere,Frank”, mi disse Donna senza smettere di usare l’epiglottide.
Poi mi ricordai che una volta, a casa sua, mi aveva fatto vedere un trofeo che aveva in bella mostra in salotto. Era il premio per il primo classificato al torneo nazionale di rutti di Baltimora, dove, mi raccontava, aveva vinto eseguendo tutta la prima parte della “Rhapsody in Blue” di Gershwin.
Vada pure per Gershwin, ma quando Tony incominciò l’esecuzione di “Romantica” e Donna quella di “Hot Stuff” in una sorta di jam session gutturale, decisi che era troppo e mi avviai all’uscita del Jungle Bar. Avevo quasi raggiunto l’auto quando Jim, il cameriere, arrivando trafelato alle mie spalle, mi disse che c’era il signor Miller al telefono che chiedeva di me. All’epoca Henry era alle prese con la prima stesura de “Il tropico del Cancro” e mi telefonava almeno due o tre volte al giorno per leggermi ciò che andava scrivendo e per chiedermi un parere. All’inizio quell’abitudine che aveva preso, dopo essere rimasto entusiasta, diceva, di alcune considerazioni che avevo espresso su Proust una sera che ci eravamo ritrovati a cena da Margot Nierstein, mi lusingava. Ma con il passare del tempo quelle storie di pseudo artisti maledetti, tutto lerciume, sesso e alcol, cominciarono ad annoiarmi.
“Cazzo”, esordì Henry senza neanche salutarmi, ”lo sai che scrivo tutta notte e alle dieci ti chiamo. Perché non sei a casa?”.
“Abitualmente non do spiegazioni a domande poste senza il necessario tatto”.
“Stasera esco con Margaret. Ha un’amica, si chiama Mila, me l’ha presentata giovedì al Club. Se vuoi possiamo combinare un’uscita a quattro. Ti piacerà, è una bella cavallona e ha un culo che non esiterei a definire espressivo”.
“Grazie per il pensiero Henry, ma non sono nello stato emotivo adatto”.
“Stato emotivo? Che cazzo c’entra l’emotività? Dì un po’, ma non sarai mica frocio?”.
“Certo, perchè secondo te se uno non sbava addosso al primo essere di sesso femminile che gli capita a tiro, non può che essere frocio”.
“Non trovo altre spiegazioni plausibili”.
“Senti Henry, approfitto dell’acutezza di queste tue affermazioni per farti partecipe di alcune considerazioni che avevo in animo di dirti già da tempo. Questa tua visione così pervasiva del sesso, questa costante ossessione che accompagna anche i tuoi scritti credo che finisca per oscurare la parte più interessante della tua personalità e della tua opera: la tua capacità di entrare nella sfera più profonda dell’animo umano,lo scandagliare la realtà con accenti quasi deliranti ma….”
“Dovresti scopare di più,Frank. Ti farebbe bene”.
“Vaffanculo Henry”.
“Ti chiamo domattina alla solita ora. Cerca di farti trovare a casa, non vorrei essere costretto di nuovo a scorrere tutto l’elenco telefonico di Los Angeles per trovarti”.
Uscì dal Jungle Bar con una certa sensazione di inadeguatezza.Vivevo circondato da una diffusa edonistica leggerezza che mai come in quel momento mi parve contrastare con la mia visione austera,compresa,equilibrata della vita e della realtà.

(Jaenada)

sabato 15 novembre 2008



A Detroit....

In america ci sono stato. Nel '56. Eravamo a Detroit, io, John Belushi e Rita Levi Montalcini (che, anche se oggi è difficile da immaginare, all'epoca era una discreta topona). Una sera John mi fa: "Frank (negli states ero conosciuto come Frank Vesuvio), mentre l'ebreuccia si depila la passera (John aveva dei modi piuttosto spicci) che ne diresti se ci andassimo a mangiare una pizza da quello stronzo del tuo compaesano sulla Quinta?". Gli dico: "ok John,però offro io". E lui: "Nessun problema Frank,prendo una 4 stagioni doppia,abbondante di mozzarella e gorgonzola"...Cazzo, non ci crederete, ma mi è costata 9 dollari solo la sua pizza (9 dollari del '56,non so se mi spiego) e io all'epoca ero anche piuttosto in bolletta, mentre lui se la passava già discretamente. Una delle comparse di "Animal House" anni dopo mi ha raccontato che si faceva dare addiruttura la percentuale sul loro lavoro. Capite? Un miliardario. Anche se devo dire che con me, a parte i suoi ripetuti attacchi di taccagneria, si è sempre comportato discretamente.
Mi ricordo una volta che io, John e Burt Lancaster andammo a farci una birra e a spiluccare qualcosa in un locale messicano sulla trentaseiesima. Burt era noto nel nostro giro per essere una checca senza ritegno, benchè la maggior parte delle americane e delle europee lo ritenesse un fustacchione da urlo. Per tutta la sera ce la menò con la retorica del sogno americano, del paese libero e del pericolo rosso e ci diede un pò di tregua solo quando,con mia somma sorpresa,abbordò una cameriera ispanica del cazzo (in america gli ispanici sono sempre: "del cazzo") che si guadagnava da vivere servendo ai tavoli e spremendo qualche commesso viaggiatore di passaggio con il portafogli pieno. Io assistevo inebetito alla scena di Burt che palpeggiava avidamente la giovincella, che tra l'altro era un gran pezzo di figliola, mentre John sembrava molto più interessato a prelevare generose cucchiaiate di chili dal piatto di Burt, approfittando del fatto che egli fosse nel frattempo in altre faccende affaccendato. Mentre cominciavo a pensare che forse le giovani americanine la sapessero più lunga di me, vidi Burt avviarsi velocemente verso il nostro tavolo e bisbigliare nervosamente: "filiamo". Non capivo cosa fosse accaduto, ma dal suo tono capì che forse era il caso di di filarsela per davvero. Il difficile fu convincere John a staccarsi dal piatto di chili a cui si era avvinghiato come una perla all'ostrica, ma con un paio di strattoni, visto che oramai era già strafatto di birra, riuscimmo a trascinarlo fuori. Dopo dieci minuti a passo sostenuto,svoltato l'angolo alle spalle di una brasserie, guardai dritto in faccia Burt e mentre John vomitava ogni cosa con gli occhi fuori dalle orbite, gli chiesi spiegazioni. Il mio sguardo dovette trapassargli anche l'anima, perchè sembrò abbandonare il suo piglio da sbruffone, e il ghigno da vincente che aveva sempre stampato in faccia scomparve per qualche minuto. Mi disse che lavorava per la Cia e per la commissione contro le attività anti-americane e che gli avevano segnalato che in quel locale sulla trentaseiesima lavorava come cameriera un travestito,fratello di un attivista del partito comunista, e che il suo compito era quello di irretirlo per strappargli qualche informazione utile. Solo che lui, parlando con la giovine, aveva capito di aver sbagliato persona, o peggio ancora locale. E dopo aver constatato "empiricamente" che non poteva trattarsi del fratello di nessuno, aveva intuito che la signorina oramai aveva tutte le intenzioni di portarselo a letto. A quel punto era stato preso dal panico e ne aveva dedotto che la cosa migliore fosse svignarsela prima che l'evolversi degli eventi lo portasse a quelle che egli definì "le estreme conseguenze". Non appena John si riavette,prese Burt per il bevero e con la sua solita, per quanto brutale, efficacia gli disse: "Brutta checca spiona del cazzo,mi hai fatto vomitare anche l'anima perchè avevi paura di doverti scopare quel pezzo di figa da paura? Questo paese deve essere messo proprio male per affidare la propria sicurezza a un deficente incapace di distinguere una troia ispanica da un frocio comunista". E così detto si avviò infuriato verso la metro. Burt altresì con la testa bassa e la coda fra le gambe salì sul primo taxi di passaggio e non lo rividi mai più. Io invece restai per ore a vagare nella notte. In fondo al mio cuore la speranza di incrociare la cameriera del locale messicano.

(Jaenada)