domenica 16 novembre 2008



A Los Angeles.....

“Non sarà troppo cominciare con la tequila alle 10 del mattino?”.
“Non quando si è smesso alle 8”, mi rispose Tony.
“Voi a cinquant’anni non ci arriverete”, replicai.
“Considerato quanto abbiamo dormito sarebbe come se tu ne vivessi cento”, concluse caustica Donna.
In effetti a me piaceva dormire, a loro molto meno. Dormire è sempre stato uno dei miei passatempi preferiti. Ogni volta che c’era qualcosa da fare, un posto dove andare, dovevo scontrarmi con la mia irrefrenabile voglia di appisolarmi, con la mia angoscia del sonno perduto. Non so come, quella mattina mi ero lasciato convincere da quei due pazzi scatenati ad alzarmi all’alba per “fare colazione” insieme. Perchè loro bere tequila e mangiucchiare arachidi alle 10 del mattino, dopo una notte insonne trascorsa a bivaccare e a sbevazzare da un locale all’altro, la chiamavano colazione.
Alla quinta tequila Donna e Tony cominciarono a sghignazzare, darsi di gomito e a ruttare bellamente. Che ruttasse Tony diciamo che me lo sarei aspettato, ma sentirlo fare a Donna mi creava non pochi imbarazzi.
“Capisco i tuoi modi informali e la consapevole rinuncia a vetuste sovrastrutture culturali, ma non pensi che sia poco elegante per una donna bella e sexy come te mettersi a ruttare urbi et orbi?”
“Vai a farti fottere,Frank”, mi disse Donna senza smettere di usare l’epiglottide.
Poi mi ricordai che una volta, a casa sua, mi aveva fatto vedere un trofeo che aveva in bella mostra in salotto. Era il premio per il primo classificato al torneo nazionale di rutti di Baltimora, dove, mi raccontava, aveva vinto eseguendo tutta la prima parte della “Rhapsody in Blue” di Gershwin.
Vada pure per Gershwin, ma quando Tony incominciò l’esecuzione di “Romantica” e Donna quella di “Hot Stuff” in una sorta di jam session gutturale, decisi che era troppo e mi avviai all’uscita del Jungle Bar. Avevo quasi raggiunto l’auto quando Jim, il cameriere, arrivando trafelato alle mie spalle, mi disse che c’era il signor Miller al telefono che chiedeva di me. All’epoca Henry era alle prese con la prima stesura de “Il tropico del Cancro” e mi telefonava almeno due o tre volte al giorno per leggermi ciò che andava scrivendo e per chiedermi un parere. All’inizio quell’abitudine che aveva preso, dopo essere rimasto entusiasta, diceva, di alcune considerazioni che avevo espresso su Proust una sera che ci eravamo ritrovati a cena da Margot Nierstein, mi lusingava. Ma con il passare del tempo quelle storie di pseudo artisti maledetti, tutto lerciume, sesso e alcol, cominciarono ad annoiarmi.
“Cazzo”, esordì Henry senza neanche salutarmi, ”lo sai che scrivo tutta notte e alle dieci ti chiamo. Perché non sei a casa?”.
“Abitualmente non do spiegazioni a domande poste senza il necessario tatto”.
“Stasera esco con Margaret. Ha un’amica, si chiama Mila, me l’ha presentata giovedì al Club. Se vuoi possiamo combinare un’uscita a quattro. Ti piacerà, è una bella cavallona e ha un culo che non esiterei a definire espressivo”.
“Grazie per il pensiero Henry, ma non sono nello stato emotivo adatto”.
“Stato emotivo? Che cazzo c’entra l’emotività? Dì un po’, ma non sarai mica frocio?”.
“Certo, perchè secondo te se uno non sbava addosso al primo essere di sesso femminile che gli capita a tiro, non può che essere frocio”.
“Non trovo altre spiegazioni plausibili”.
“Senti Henry, approfitto dell’acutezza di queste tue affermazioni per farti partecipe di alcune considerazioni che avevo in animo di dirti già da tempo. Questa tua visione così pervasiva del sesso, questa costante ossessione che accompagna anche i tuoi scritti credo che finisca per oscurare la parte più interessante della tua personalità e della tua opera: la tua capacità di entrare nella sfera più profonda dell’animo umano,lo scandagliare la realtà con accenti quasi deliranti ma….”
“Dovresti scopare di più,Frank. Ti farebbe bene”.
“Vaffanculo Henry”.
“Ti chiamo domattina alla solita ora. Cerca di farti trovare a casa, non vorrei essere costretto di nuovo a scorrere tutto l’elenco telefonico di Los Angeles per trovarti”.
Uscì dal Jungle Bar con una certa sensazione di inadeguatezza.Vivevo circondato da una diffusa edonistica leggerezza che mai come in quel momento mi parve contrastare con la mia visione austera,compresa,equilibrata della vita e della realtà.

(Jaenada)

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